IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  decreti  del  28  marzo  e 24 maggio 1991 il g.i.p. presso il
 tribunale di Bari disponeva il giudizio  nei  confronti  di  Lafronza
 Vincenzo  e  Malcangio  Salvatore  per  i reati di concorso in truffa
 aggravata in danno dell'E.A.A.P. e di  falso  in  scrittura  privata,
 nella  rispettiva qualita' di funzionario responsabile dell'ente e di
 aggiudicatario di  forniture  di  reattivi  chimici  all'impianto  di
 Fortore  di detto ente, il Lafronza anche dei reati di cui agli artt.
 479 e 328 del c.p. ed  il  Malcangio  altresi'  dei  reati  di  falsa
 fatturazione e d'inadempienza di pubblica fornitura.
    All'udienza  del  18  settembre  1991  il difensore del Malcangio,
 munito  di  procura  speciale,  chiedeva  per  il  proprio  assistito
 l'applicazione  della  pena  ai  sensi dell'art. 444 del c.p.p. ed il
 tribunale, disposta la separazione del  giudizio  nei  confronti  del
 Lafronza,  provvedeva  in conformita' dopo aver acquisito il consenso
 ed il fascicolo del pubblico ministero; nel  processo  a  carico  del
 suddetto    Lafronza    il   difensore   ha   di   seguito   eccepito
 l'incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, del  c.p.p.  nella
 parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio
 del   giudice   che   per  qualsiasi  causa  abbia  preso  conoscenza
 nell'esercizio delle sue funzioni di atti delle indagini preliminari,
 come indubitabilmente e' accaduto nella specie per il tribunale,  che
 in  sede  di  applicazione  della  pena al Malcangio ha di necessita'
 acquisito il fascicolo del p.m. e sugli atti  in  esso  contenuti  ha
 fondato  la  decisione  ex  art.  444  del  c.p.p. Sentite le parti e
 premesso  che  il  difensore   dell'imputato   ha   fatto   implicito
 riferimento  ai  parametri  fissati  negli  artt.  76,  77 e 25 della
 Costituzione,  che  si  assume  violati  in  quanto  la   fattispecie
 evidenzierebbe  la  lesione  del  principio  di  piena attuazione del
 sistema processuale accusatorio di cui alla legge-delega 16  febbraio
 1987,  n.  81,  e di quello del rispetto del giudice naturale, attesa
 l'accentuata "terzieta'" del giudice in tale sistema e la conseguente
 esigenza di assicurare la certezza  dell'imparzialita'  dello  stesso
 attraverso l'esclusione di una valutazione preconcetta sul merito.
    Cio' premesso, il tribunale rileva che per il caso in esame devono
 trovare   applicazione   i   principi   gia'   dettati   dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 496 del 15-26 ottobre 1990.
    Pur sottolineando che "il rilievo  assegnato  alla  terzieta'  del
 giudice  e' stato significativamente accentuato con la previsione che
 il giudice della fase del  giudizio  non  debba  conoscere  gli  atti
 compiuti  durante le indagini preliminari", la Corte ha precisato che
 nell'ottica  della  delega  (art.  2,  direttiva  n.  67)  "non  ogni
 attivita' precedentemente svolta vale a radicare l'incompatibilita'",
 ma  che  certamente  questa si sostanzia, nei casi non specificamente
 previsti dalla normativa, quando il  giudice  nelle  precedenti  fasi
 abbia  compiuto  una  valutazione  di  contenuto  dei risultati delle
 indagini preliminari.
    Orbene, se cio' consente di affermare che la mera conoscenza degli
 atti   del   fascicolo   del   p.m.   non   comporta   di   per   se'
 l'incompatibilita'   denunciata   (e'  sub  iudice  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dello stesso art. 34, secondo comma,  del
 c.p.p.,   riferita   al   giudice   del   riesame),   e'  per  contro
 manifestamente fondato il rilievo sull'incompatibilita' allorche'  il
 giudice  e' stato gia' chiamato ad esprimere comunque una valutazione
 sul merito dei  fatti  e  sulla  fondatezza  o  meno  delle  relative
 imputazioni.  E'  quanto  incontrovertibilmente  avvenuto nel caso di
 specie,  posto  che  il  tribunale,  considerando  la  posizione  del
 coimputato   Malcangio,   ha   preso   piena  conoscenza  degli  atti
 dell'indagine preliminare ed ha espresso il proprio convincimento  in
 ordine  alla  sussistenza ed alla qualificazione giuridica dei fatti,
 anche in relazione alle aggravanti  contestate,  escludendo  altresi'
 che  ricorressero  i presupposti per l'applicazione dell'art. 129 del
 c.p.p.
    Tale situazione consente di rilevare l'inevitabile condizionamento
 del giudice rispeto al successivo  giudizio  cui  e'  chiamato  sugli
 stessi fatti nei confronti del coimputato.
    La  questione  e' rilevante per la composizione del collegio nelle
 persone degli stessi giudici che hanno preso parte  nel  giudizio  di
 applicazione della pena su richiesta della parte.